COLLEZIONE D’ARTE



I baroni Gallelli di Badolato, fin dal XVII secolo sono stati committenti di opere pittoriche e sculture, nonché attualmente collezionisti d’arte.

In questa pagina sono annoverate alcune opere facenti attualmente parte della collezione Gallelli di Badolato.

In generale il collezionismo d'arte, è l’abitudine di famiglie e soggetti privati di raccogliere opere d’arte, è strettamente connesso a motivazioni culturali ed estetiche, al fenomeno del mecenatismo ed al mercato d’arte.

Alcune delle più ricche collezioni del passato sono andate a costituire il nucleo originario di un museo.

Il collezionismo, fiorente durante l’antichità greco-romana, decadde nel medioevo in quanto strettamente legato alla valutazione dell'opera d'arte: la Chiesa tendeva infatti a reprimere e condannare ogni forma di ostentazione di lusso e ricchezza. Alle raccolte di tesori conservate nelle chiese e nelle abbazie medievali non veniva attribuito valore storico o estetico, ma puramente strumentale (avevano il solo fine di avvicinare i fedeli alla sfera spirituale); lo stesso va detto per i reperti classici verso cui mostrarono interesse numerosi sovrani (Carlo Magno, Federico II, i papi), che dovevano solo sottolineare il loro ruolo di eredi del potere imperiale.

Il valore storico e documentario dell'opera d'arte tornò ad essere ben compreso solo con Petrarca (13041374): grande raccoglitore di monete antiche (in gran parte poi donate all'imperatore Carlo IV di Boemia), l'umanista vedeva nei ritratti degli antichi su di esse effigiati dei sussidi insostituibili per la ricostruzione delle fattezze dei personaggi del mondo classico e degli incitamenti ad imitarne le virtù.

L'età del Rinascimento e del Manierismo

Nel XV secolo i reperti classici smisero di essere considerati solo uno stimolo etico ed acquistarono valore di testimonianza visiva dell'antichità, che permetteva di stabilire un legame diretto con essa: accanto agli umanisti (Niccolò Niccoli, Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini) anche le famiglie della nobiltà iniziarono a raccogliere pezzi antichi, nei quali vedevano soprattutto il suggello del prestigio politico e culturale acquisito. Cosimo il Vecchio de' Medici, ad esempio, fece del suo mecenatismo uno strumento di consenso alla conquista del potere a Firenze: in tal senso vanno intese le sue commissioni a Donatello e Brunelleschi, così come la sua passione per la glittica. I suoi eredi, Piero il Gottoso e Lorenzo il Magnifico, ampliarono notevolmente la collezione dinastica, che venne sistemata nel nuovo Palazzo di via Larga e nel Giardino di San Marco (dove avvenne la formazione di Michelangelo) in modo da fornire moniti politici e culturali ai visitatori. Il collezionismo della famiglia Medici si chiuse quando Firenze passò a Francesco di Lorena (1735): Anna Maria Luisa, figlia di Cosimo III, lasciò per sempre alla città le collezioni raccolte nel corso dei secoli dalla dinastia.

L'utilità del possesso di oggetti d'arte al fine di acquisire rinomanza venne ben compresa anche dagli artisti, desiderosi di sottolineare il carattere intellettuale della loro attività, di non essere più considerati solo semplici artigiani e di integrarsi tra gli umanisti. Le botteghe dello Squarcione, di Lorenzo Ghiberti, del Sodoma e di molti altri divennero delle vere gallerie d'arte che, oltre a fornire modelli agli allievi, dovevano documentare la fama e la cultura dei proprietari.

Per gran parte del '500 le raccolte conservarono in genere un carattere privato e di documentazione enciclopedica: accanto alle sculture classiche ed alle opere d'arte trovavano posto oggetti esotici, strumenti alchemici e curiosità naturali conservati in studioli (celebri quelli di Isabella d'Este a Mantova e quello di Francesco I de' Medici, in Palazzo Vecchio a Firenze), piccoli ambienti appositamente creati e destinati al raccoglimento intellettuale. Tipica del collezionismo dei paesi nordici è invece la Wunderkammer (camera delle Meraviglie), originatasi dal medievale tesoro dei castelli principeschi.

Negli anni ottanta del XVI secolo si vide il nascere di una più precisa sensibilità storiografica, connessa anche alla pubblicazione delle Vite di Giorgio Vasari; con gli Uffizi si ebbe il primo caso di edificio appositamente creato per contenere le collezioni d'arte, che smettevano di costituire una sorta di arredamento del palazzo del principe e venivano ad assumere una fisionomia relativamente autonoma. Dappertutto le collezioni iniziano ad essere trasferite ed esposte in gallerie, vasti ambienti di passeggio coperti, dove dovevano esaltare la grandezza ed il gusto del committente.

Il Sei-Settecento

All'aprirsi del '600, Roma, con la curia papale, era la capitale artistica d'Europa: grandi collezionisti furono i cardinali Scipione Borghese, Francesco Maria Del Monte, Pietro Aldobrandini, Maffeo Barberini, Marcantonio Colonna, Ludovico Ludovisi, Giovanni Battista Pamphilj e Bernardino Spada; in Francia, secondo il pensiero di Richelieu (collezionista egli stesso, che donò le sue grandiose raccolte alla Corona), il collezionismo invece fu essenzialmente di corte, espressione dell'autorità monarchica.

A cavallo tra i secoli XVI e XVII il collezionismo acquisì una ben individuata fisionomia: accanto agli antiquari, quegli studiosi dell'antichità che, in seconda istanza, potevano anche raccoglierne e conservarne testimonianze concrete, nella critica d'arte si affermò la figura del conoscitore dilettante, intenditore d'arte dal gusto raffinato in grado di mettere le proprie competenze al servizio di collezionisti "nuovi", di estrazione borghese: le personalità di Giulio Mancini, Francesco Angeloni e Cassiano dal Pozzo incarnano questa nuova figura, la cui competenza non derivava più dal possedere specifiche cognizioni tecniche e professionali, ma dalla grande familiarità con gli artisti e le loro opere.

Si affermò in tal modo l'autonomia della critica d'arte dalla pratica, ed iniziò ad allentarsi lo stretto legame tra artisti e committenti (fino ad allora prevalentemente nobili ed ecclesiastici). Iniziarono ad essere organizzate mostre d'arte a cui partecipavano pittori nuovi, soprattutto stranieri (i bamboccianti), che ponevano gli artisti e le loro opere di fronte al pubblico: in questo contesto la figura del dilettante acquistò straordinaria importanza, in grado com'era di condizionare con il peso della sua cultura gli acquisti dei collezionisti.

Anche i mercanti d'arte, il cui gusto era più libero da incrostazione ideologiche, assunsero un ruolo di primo piano, sia come talent-scout che come consiglieri riconosciuti della classe borghese. Venezia, ormai in piena crisi economica, divenne il principale centro di approvvigionamento per questi mercanti, che fungevano da intermediari tra le famiglie venete decadute e gli acquirenti, soprattutto stranieri: è proprio nella Serenissima che il mercante Daniele De Nijs importò la galleria dei Gonzaga, poi venduta in blocco a Carlo I d'Inghilterra.

Il XVIII e XIX secolo ed il collezionismo moderno

Durante il XVIII secolo si verificarono forti trasformazioni sociali che diedero atto ad una serie di mutamenti che segnarono il volto delle maggiori realtà europee. Apice di questi moti rivoluzionari fu la prima rivoluzione francese seguita dell'illuminismo. La progressiva affermazione della borghesia ed il conseguente rinnovamento del gusto portarono il collezionismo colto nobiliare di un tempo a cedere il posto al collezionismo moderno borghese.

In questo periodo nacquero i musei luoghi prescelti per raccogliere, ricollocare e mostrare il gusto, la cultura e gli oggetti di interesse del tempo. Il potere statale del XVII secolo diventa a sua volta collezionista e gallerista, crea le collezioni pubbliche per celebrare la sua storia e la sua importanza. Si può notare come la Francia sotto Napoleone aumentò considerevolmente le proprie collezioni di beni artistici. Questi beni, ottenuti per vittoria militare o per spedizione archeologica (es. la stele di Rosetta), tuttora compongono gran parte del patrimonio culturale del Louvre. Un esempio di questa ricollocazione è la famosa Gioconda di Leonardo Da Vinci. Queste trasformazioni culturali da un lato crearono il senso di identità nazionale e appartenenza ad un territorio, ma dall'altro lato alimentarono lo scontro etnico tra le popolazioni e diventarono strumento di espansione per il colonialismo.

Nel XIX secolo il lavoro congiunto di musei, mercanti, collezionisti e pubblico crearono e svilupparono quello che successivamente verrà chiamato mercato dell'arte. Infatti il collezionismo privato continuò a fiorire nel XIX secolo, determinato sia dalla passione per l'arte che dal desiderio di investire i capitali: fra le maggiori collezioni italiane del secolo vanno ricordate, tra le altre, quelle di Gaetano Filangieri iunior a Napoli, di Giacomo Carrara a Bergamo, di Teodoro Correr a Venezia e di Federico Stibbert a Firenze; per quanto riguarda gli altri paesi europei, importanti furono la Wallace Collection (Londra) e la Jacquemart-André (Parigi).

Sempre verso la fine del secolo iniziarono a formarsi anche le grandi collezioni americane, tra cui vanno ricordate quelle di Andrew W. Mellon, Isabella Stewart Gardner, John Pierpont Morgan, Samuel H. Kress e Paul Getty.

Il XX secolo e la situazione contemporanea

Quello che caratterizzò maggiormente la storia del collezionismo dell'arte del XX secolo fu il ruolo che ricoprirono galleristi e collezionisti. Essi furono gli attori principali per la diffusione fisica e commerciale della maggior parte delle opere d'arte di quel periodo, sviluppando un sistema finanziario dell'arte tale da poter influenzare la critica sulle nuove scoperte e di conseguenza sulla valorizzazione di molte correnti artistiche.

Musei e collezioni pubbliche partecipavano al processo di formazione del valore artistico che a sua volta favorivano lo sviluppo di musei e collezioni sempre più grandi; è in questo contesto storico che nacquero i più noti musei come il MOMA (museum of modern art) ed il Guggenheim. Questo fenomeno diede vita alla dicotomia mondo dell'arte e mercato dell'arte che conosciamo oggi.

Più tardi verso la metà del secolo l'investimento di capitale, la creazione di un sistema economico del collezionismo e la dinamicità di tale mercato permisero a banche e società di credito di investire nell'arte dando vita negli USA alle prime collezioni aziendali. Da notare come già precedentemente l'attività di grandi corporazioni era stata impiegata per nascita delle istituzioni museali: Rockefeller e Moma. Solo molto più tardi l'attività di alcuni artisti (critica istituzionale) si concentra sull'evidenziare i collegamenti tra il mondo dell'arte e l'economia. Un esempio di tale pratica artistica è il lavoro dell'artista tedesco Hans Haacke che nel 1970 realizza la sua opera Moma poll, con la quale sottolinea le relazioni tra Moma, il governatore Rockefeller e la politica del tempo del presidente Nixon.

Si assiste poi alla nascita di una nuova forma di collezionismo sicuramente più dinamico che non si limita a seguire le tendenze del mercato dell'arte, ma le anticipa.

È su questo solco che si muove la testimonianza storico-artistica del collezionista italiano, Giuseppe Panza di Biumo, capace di raccogliere nel tempo una miriade di opere delle più disparate tendenze.

La mobilità dell'opera d'arte, garantita sia dai mezzi di trasporto sia dai flussi economici, insieme alla moltiplicazione degli operatori di settore, della diffusione mediatica e di un pubblico sempre più vasto favorirono la comparsa di nuovi modelli espositivi come ad esempio la fiera d'arte.Esempio di tale manifestazione è il caso di particolare rilievo della fiera di Basilea: Art Basel. Queste metamorfosi del mercato e del mondo dell'arte influirono ed influiscono tuttora profondamente nella concezione di bene artistico, alimentando così un concetto di collezionismo ambiguo e multiforme.

Nel XXI secolo l'investimento nel settore artistico rappresenta la sintesi tra diversi fattori: valore, cultura ed estetica. Questa sintesi appare non trasparente per via di logiche e meccanismi intrinseci del sistema dell'arte spesso speculativi e volutamente opachi. Questi elementi caratterizzano molti aspetti dell'arte e delle collezioni degli ultimi decenni del XX secolo e degli inizi del XXI.





Pioggia nella Mancia


Tra i pezzi più rinomati della collezione, vi è certamente l’opera denominata “pioggia nella Mancia” dell’artista scultore Antonio Tropeano.

L’opera è stata esposta nel 2016 alla Milano Art Gallery (Biennale di Milano), con la presentazione straordinaria di Vittorio Sgarbi.

Si tratta di un blocco unico di tiglio di cm 20x20x12 dal quale lo scultore ha riprodotto le proprie mani (con strumenti inediti da lui appositamente creati).

http://www.antoniotropiano.it/stampa.html



Sant’Anna dei Parafrenieri e l’educazione della vergine

Olio su tela 120x80 del 2017.


Il dipinto che è attualmente esposto nella cappella di Sant’Anna dei Parafrenieri (in castello Gallelli), è stato realizzato dal maestro Giacomo Sonaglia nel 2017 ed è stato commissionato dai baroni Gallelli in occasione della ricezione del barone Ettore Gallelli nel prestigioso collegio dei Parafrenieri Pontifici-Sediari di Sua Santità, avvenuta il 25 novembre 2014. Come tutti i dipinti commissionati dai Gallelli, anche questa grande opera riproduce sullo sfondo gli animali che compongono lo stemma di famiglia (l’aquila, la volpe, e il gallo).

Già indicati con il termine STRATORES, i parafrenieri pontifici devono l'origine del loro nome al termine parafreno, utilizzato per indicare i cavalli da parata.

I parafrenieri, infatti, erano gli antichi famigli del papa incaricati, già prima del X secolo della direzione e del governo delle scuderie pontificie.

Custodivano il cavallo personale del papa e i suoi finimenti nonché gli altri preposti al traino della carrozza pontificia, di cui loro stessi erano conduttori. Avevano anche l'incarico di custodire nelle scuderie la mula bianca che veniva montata dal papa neo-eletto per prendere possesso, quale vescovo di Roma, della Basilica di S. Giovanni in Laterano. La mula veniva tenuta per le briglie attraverso il morso da un parafreniere, che aveva così modo di condurre l'animale senza l'intervento del pontefice. Lo stesso accadeva quando il papa montava il proprio cavallo personale. Era considerato un grande privilegio poter reggere il morso del cavallo del papa, nonché porgere la staffa

allo stesso, tant'è che questa consuetudine era riservata quale esclusiva prerogativa dei re e dei principi regnanti.

Lo storico settecentesco Ludovico Antonio Muratori, nella sua Dissertazione IV Degli Uffizj della Corte dei Re antichi d'Italia e degl'Imperatori, scrive:

« ... Non pochi degl'imperadori e re de' secoli susseguenti (tanta era la loro riverenza a San Pietro) non disdegnarono di tenere la staffa ai Romani Pontefici, e la briglia nelle solenni funzioni. Talmente s'era stabilito quest'atto di ossequio verso i Vicari di Cristo che avendo Federico I allorché nell'anno 1155 venne verso Roma per prendere la corona imperiale, ricusato di prestarlo a papa Adriano IV, non fu ammesso al bacio dello stesso Papa, come s'ha dalle memorie di Cencio Camerario e da altre storie, e s'imbrogliarono forte gli affari per questa contesa. Ma cotanto si adoperarono i più vecchi ed autorevoli de' principi con allegare l'antica consuetudine, che fu stabilito "quod Donnus Imperator pro Apostolorum Principis et Sedis Apostolicae reverentia exhiberet Stratoris officium, et streugam Donno Papae teneret". In lingua Longobardica o sia Germanica lo Stratore era chiamato Marphais; e che fosse questo ufizio splendido, si può dedurre da Paolo Diacono, il quale nel lib. II, cap. 9 scrive essere stato Gisolfo, nipote di re Alboino "vir per omnia idoneus, qui eidem Strator erat, quem lingua propria Marpahis appellant". Nella corte de' principi di Benevento pare che vi fosse più d'uno di questi Marpahis, trovandosene memoria nella Cronica del Monistero di Volturno, e nelle carte degli Arcivescovi di Benevento, e nella Cronica di Santa Sofia, tomo VIII dell'Italia Sacra. »

Questa particolare funzione, riservata ai parafrenieri, comportò loro l'acquisizione di enormi privilegi, tra i quali la nomina a Conti palatini, insigniti della facoltà di crearne a loro volta, concedere lauree e creare notai. La loro importanza nella corte pontificia e l'indiscussa fedeltà dimostrata al pontefice indussero papa Giulio II il 19 aprile 1507 ad istituire il "Nobile Collegio dei Parafrenieri Pontifici", corpo confermato 15 aprile 1517 da Leone X. In tale collegio erano annoverati, oltre i parafrenieri, anche i sediari pontifici, con cui condividevano, oltre la divisa, anche alcune delle funzioni di servizio diretto al pontefice.

A seguito del Concilio di Trento i grandi privilegi vennero via via ridimensionati, e, con la soppressione delle scuderie pontificie, soprattutto a seguito dei Patti Lateranensi del 1929, i parafrenieri confluirono definitivamente nel collegio dei sediari pontifici, di cui condivisero infine anche il nome.

Parafrenieri e sediari costituirono, sin dal 1378, anche una propria confraternita, intitolata alla loro patrona Sant'Anna, venerata in una cappella all'interno della basilica di San Pietro. Papa Pio IV concesse loro di edificare, nel 1565 nei pressi di San Pietro, una chiesa intitolata a Sant'Anna, opera progettata e realizzata dall'architetto Jacopo Barozzi da Vignola. La confraternita, ricca e potente, incaricò il pittore Michelangelo Merisi da Caravaggio della realizzazione, per la cappella in San Pietro, di un dipinto raffigurante la loro patrona con Maria e Gesù bambino, opera ancora oggi conosciuta come Madonna dei Palafrenieri, conservata presso la Galleria Borghese in Roma. Ancora oggi la Venerabile Arciconfraternita Vaticana di Sant'Anna de' Parafrenieri è retta dai sediari pontifici e dagli altri membri appartenenti all'anticamera pontificia. Ne è Primicerio il Prefetto della Casa Pontificia ed è retta dal Decano Generale, attualmente Frà Massimo Sansolini. Ha un Protonotario Apostolico ed un Cappellano. Ne fanno parte anche alcuni ambasciatori presso la Santa Sede e membri delle più note casate italiane.

http://www.giacomosonaglia.it/



San Giorgio che uccide il drago.

Olio su tela 100x150 -2017.



Il grande dipinto commissionato dai baroni Gallelli di Badolato al maestro Giacomo Sonaglia, raffigura San Giorgio che uccide il drago.

L’opera è stata realizzata per commemorare l’ingresso dei Gallelli nel Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, che ha infatti come suo santo protettore S. Giorgio.

San Giorgio (Cappadocia, 275-285 circa – Nicomedia, 23 aprile 303) è stato, secondo una consolidata e diffusa tradizione, un martire cristiano, venerato come santo megalomartire (in greco Aghios Geòrgios o Megalomàrtyr, Άγιος Γεώργιος ο Μεγαλομάρτυρ) da quasi tutte le Chiese cristiane che ammettono il culto dei santi.

Morì prima di Costantino I, probabilmente sotto le mura di Nicomedia, secondo alcune fonti nel 303.

Il suo culto è molto diffuso ed è antichissimo, risalendo almeno al IV secolo.



In mancanza di notizie biografiche certe su san Giorgio, le principali informazioni provengono dalla Passio sancti Georgii, che però già il Decretum Gelasianum del 496 classificava tra le opere apocrife. Secondo questa fonte, Giorgio era originario della Cappadocia (regione dell'odierna Turchia), figlio di Geronzio, persiano, e Policromia, cappadoce, nato verso l'anno 280. I genitori lo educarono alla religione cristiana. Trasferitosi in Palestina, si arruolò nell'esercito dell'imperatore Diocleziano, comportandosi da valoroso soldato, fino al punto di giungere a far parte della guardia del corpo dello stesso Diocleziano, divenendo ufficiale delle milizie.

Il martirio sarebbe avvenuto sotto Diocleziano stesso (che però in molte versioni è sostituito da Daciano, imperatore dei Persiani), il quale avrebbe convocato settantadue re per decidere quali misure prendere contro i cristiani.

Giorgio donò ai poveri tutti i suoi averi e, davanti alla corte, si confessò cristiano; all'invito dell'imperatore di sacrificare agli dei, si rifiutò: secondo la leggenda, venne battuto, sospeso, lacerato e gettato in carcere, dove ebbe una visione di Dio che gli predisse sei anni di tormenti, tre volte la morte e tre la resurrezione.

Tagliato in due con una ruota piena di chiodi e spade, Giorgio resuscitò, operando la conversione del magister militum Anatolio con tutti i suoi soldati, che vennero uccisi a fil di spada; entrò in un tempio pagano e con un soffio abbatté gli idoli di pietra; convertì l'imperatrice Alessandra, che venne martirizzata.

A richiesta del re Tranquillino, Giorgio risuscitò due persone morte da quattrocentosessant'anni, le battezzò e le fece sparire. L'imperatore Diocleziano lo condannò nuovamente a morte e il santo, prima di essere decapitato, implorò Dio che l'imperatore e i settantadue re fossero inceneriti; esaudita la sua preghiera, Giorgio si lasciò decapitare, promettendo protezione a chi avesse onorato le sue reliquie, le quali sono conservate in una cripta sotto la chiesa cristiana (di rito greco-ortodosso) a Lydda (l'odierna Lod, in Israele).

La grande diffusione del culto di san Giorgio, originariamente venerato in Oriente, si ebbe inizialmente in Europa in conseguenza delle Crociate in Terrasanta, e più precisamente ai tempi della battaglia di Antiochia. Accadde che, nell'anno 1098, durante una delle più furiose battaglie, i cavalieri crociati e i condottieri inglesi vennero soccorsi dai genovesi, i quali ribaltarono l'esito dello scontro e consentirono la presa della città, ritenuta inespugnabile. Secondo la leggenda, il martire si sarebbe mostrato ai combattenti cristiani in una miracolosa apparizione, accompagnato da splendide e sfolgoranti creature celesti con numerose bandiere, nelle quali cui campeggiavano croci rosse in campo bianco.

La festa liturgica si celebra il 23 aprile.

La sua memoria è celebrata in questo giorno anche nei riti siro e bizantino. Viene onorato, almeno dal IV secolo, come martire di Cristo in ogni parte della Chiesa.

Nel 1969 la Chiesa cattolica declassò il santo nella liturgia a una memoria facoltativa, ma la devozione dei fedeli è continuata.

Si narra che in una città chiamata Silena, in Libia, vi fosse un grande stagno, tale da poter nascondere un drago, che, avvicinandosi alla città, uccideva con il fiato tutte le persone che incontrava. Gli abitanti gli offrivano per placarlo due pecore al giorno ma, quando queste cominciarono a scarseggiare, furono costretti a offrirgli una pecora e un giovane tirato a sorte. Un giorno fu estratta la giovane figlia del re. Il re, terrorizzato, offrì il suo patrimonio e metà del regno per salvarle la vita, ma la popolazione si ribellò, avendo visto morire tanti suoi figli. Dopo otto giorni di tentativi, il re alla fine dovette cedere e la giovane si avviò verso il lago per essere offerta al drago. In quel momento passò di lì il giovane cavaliere Giorgio, il quale, saputo dell'imminente sacrificio, tranquillizzò la principessa, promettendole il suo intervento per evitarle la brutale morte. Poi disse alla principessa di non aver timore, che l'avrebbe aiutata nel nome di Cristo. Quando il drago si avvicinò, Giorgio salì a cavallo e protettosi con la croce e raccomandandosi al Signore, con grande audacia affrontò il drago che gli veniva incontro, ferendolo gravemente con la lancia e lo gettò a terra, disse quindi alla ragazza di avvolgere la sua cintura al collo del drago, il quale prese a seguirla docilmente verso la città. Gli abitanti erano atterriti nel vedere il drago avvicinarsi, ma Giorgio li tranquillizzò, dicendo loro di non aver timore poiché «Iddio mi ha mandato a voi per liberarvi dal drago: se abbraccerete la fede in Cristo, riceverete il battesimo e io ucciderò il mostro». Allora il re e la popolazione si convertirono e il cavaliere uccise il drago e lo fece portare fuori dalla città, trascinato da quattro paia di buoi.

Questa leggenda era sorta al tempo delle Crociate e, probabilmente, fu influenzata da una falsa interpretazione di un'immagine dell'imperatore cristiano Costantino, trovata a Costantinopoli, in cui il sovrano schiacciava col piede un enorme drago, simbolo del «nemico del genere umano». La fantasia popolare ricamò sopra ciò e il racconto, passando per l'Egitto, dove san Giorgio ebbe dedicate molte chiese e monasteri, divenne una leggenda affascinante, spesso ripresa nell'iconografia. San Giorgio tuttavia non è l'unico personaggio che uccide un drago: anche ad altri santi le leggende riconoscono simili imprese; è facile confondere san Giorgio con san Demetrio o san Teodoro.

Nell'iconografia, San Giorgio spesso compare con l'epiteto "O Τροπαιοφόρος" (tropeoforo, il vittorioso).

Nel Medioevo la lotta di san Giorgio contro il drago diviene il simbolo della lotta del bene contro il male e, per questo, il mondo della cavalleria vi vide incarnati i suoi ideali. La leggenda del soldato vincitore del drago contribuì al diffondersi del suo culto, che divenne popolarissimo in Occidente ed in tutto l'Oriente bizantino, ove egli è per eccellenza il «grande martire» e il «trionfatore». Rapidamente egli divenne un santo tra i più venerati in ogni parte del mondo cristiano. Vari Ordini cavallereschi portano oggi il suo nome e i suoi simboli: l'Ordine della Giarrettiera, l'Ordine Teutonico, l'Ordine Militare di Calatrava, il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio e molti altri.

Secondo vari studiosi, San Giorgio e San Michele sono eredi dell'immagine dell'eroe radioso che uccide un drago, parte della fase solare del mito della creazione, il cui archetipo fu il dio babilonese Marduk.

Grande venerazione riscosse il sepolcro del martire; le sue reliquie furono trasferite, probabilmente durante l'invasione persiana all'inizio del VII secolo o poco dopo, all'arrivo dei musulmani in Palestina.

A Roma, Belisario (ca. 527) affidò alla protezione del santo la porta di san Sebastiano e la chiesa del Velabro, dove venne poi trasferito il cranio di san Giorgio, trovato in Cappadocia da papa Zaccaria (744752).

Il nome di san Giorgio era invocato contro i serpenti velenosi, la peste, la lebbra e la sifilide e, nei paesi slavi, contro le streghe.

Dal 1996, dietro autorizzazione ecclesiastica, san Giorgio è il santo protettore delle "Guardie Particolari Giurate".

La grande tela è contenuta nella cappella di Sant’Anna dei Parafrenieri in castello Gallelli).

http://www.giacomosonaglia.it/





Ritratto di Papa Francesco benedicente.

Olio su tela 50x70-2016.



Il ritratto è un altra commissione dei baroni Gallelli al maestro Giacomo Sonaglia, e raffigura Sua Santità Papa Francesco benedicente.

L’opera è stata realizzata come espressione di affetto e fedeltà dei Gallelli verso la Santa Sede.

La tela è contenuta nella cappella di Sant’Anna dei Parafrenieri in castello Gallelli).

http://www.giacomosonaglia.it/







Madonna Gallelli o dei Gallelli


L’opera dipinta da ignoto, è stata realizzata nel XVII secolo, ed è un olio su tela 71x102 cm.

Il dipinto prende il nome dai suoi committenti, come si evince dal fatto che sullo sfondo sono riprodotti gli animali che compongono lo stemma dei baroni Gallelli di Badolato (l’aquila, la volpe, e il gallo).

Il dipinto è attualmente esposto nella cappella di Sant’Anna dei Parafrenieri (in castello Gallelli).



SCIROCO delle scuderie castello Gallelli di Badolato.

Olio su tela 20 x 30 cm. 1854.




LEVANTE delle scuderie castello Gallelli di Badolato.

Olio su tela 20 x 30 cm. 1854.



Barone Pasquale Gallelli con ADONE delle scuderie castello Gallelli di Badolato.

Olio su tela 20 x 30 cm. 1854.




BLANCA delle scuderie castello Gallelli di Badolato.

Olio su tela 82x123 cm. 1854.




OMBROSO delle scuderie Gallelli di Badolato.

Olio su tela 20 x 30 cm. 1854.






B.ne Pasquale Gallelli, a cavallo di GIULIANO delle scuderie Gallelli di Badolato. Olio su tela 20 x 30 cm. 1853.





DAMASCO, scuderie castello Gallelli di Badolato.


Olio su tela 52x71 -1898





FULMINE delle scuderie castello Gallelli di Badolato.

Olio su tela 51x72-1938.




Barone Pasquale Gallelli con APOLLO delle scuderie castello Gallelli di Badolato.

Olio su tela 50x70-1854.




Baronessa Gallelli con DRAGO delle scuderie castello Gallelli di Badolato.

Olio su tela 50x70-1854.





ALI’ e BALI’ delle scuderie castello Gallelli di Badolato.

Olio su tela 52x71-1915.




Sculture lignee raffiguranti i tre animali (aquila,volpe, e gallo) che compongono lo stemma Gallelli. Opere realizzate dal maestro Antonio Tropiano-2018.

http://www.antoniotropiano.it/index.html

http://www.castellogallelli.it/index.php...

COLLEZIONE GALLELLI.





Scultura equestre

Il Master”


In occasione dell’anniversario dei dieci anni dalla fondazione del Club Calabrese per la caccia alla volpe cavallo (2006-2016), i soci del circolo, come segno di ringraziamento, hanno celebrato l’evento commissionando una scultura equestre raffigurante il Master, (barone Ettore Gallelli in sella a Mirage).

La scultura cavalleresca è un tema tipico della tradizione occidentale sin dall'età arcaica dell'arte greca, passando per quella romana, tardo gotica, medioevale, rinascimentale, barocca, e neoclassica, fino a giungere ai tempi nostri.

La realizzazione di quest’opera equestre è stata affidata nel 2019 dai Soci del Club Calabrese per la caccia alla volpe a cavallo, ai noti artisti: DAVIDE DORMINIO, ANTONIO TROPIANO, e ALESSANDRO DI COLA, presso lo studio romano MARTE SCULTURA, di FULVIO MEROLLI.

https://davidedormino.com/

www.antoniotropiano.it

http://www.martescultura.com/fulvio-merolli-biografia/

Davide Dorminio è un artista che cerca nuove forme attraverso uno studio continuo sulle possibilità liriche e plastiche di materiali come il marmo, il bronzo e il ferro.

Nei suoi lavori di arte pubblica troviamo una ricerca di monumentalità (Poltergeist, 2019) e di presa di possesso dello spazio (Naviganti_Monumento all’immaginazione, 2017); in ogni suo lavoro, inoltre, compare una ricerca di senso attraverso il riferimento a tematiche imprescindibili per l’Uomo (Atlante, 2019).

Ha realizzato opere ambientali permanenti in Italia e all’estero, “Breath” (2011) ad Haiti realizzato ad un anno dalla catastrofe del terremoto, per incarico delle Nazione Unite che sta per essere trasferita nella nella sede di New York. “Anything to say?” (2015), una scultura itinerante dedicata al coraggio e alla libertà d’informazione che ha iniziato il suo percorso da Berlino (Alexanderplatz) il 1′ Maggio del 2015 successivamente l’Opera si è spostata a Dresda (Theatrerplatz, Ostrale), Ginevra (Place des Nations), Parigi (Place Georges Pompidou), Strasburgo (Place Klèber), Tours (Gare de Tours), Perugia ( Piazza IV Novembre), Belgrado (Dev9t Festival), Ptuj-Slovenia (Art Stay Festival), Roma (p.le Aldo Moro), Spoleto (Piazza Campello), Berlino (Brandenburger Tor). Per quest’opera ha ricevuto dall’organizzazione francese AntiCor il Prix éthique 2016. Ha partecipato alla Biennale della Pietra in Portogallo (2003, 2005) alla 5a edizione de La Escultura en Norte in Spagna (2009) alla XIV Biennale d’Arte Sacra (2010).

Un’Ita-Italian Artists in New York (2011).

ad Ostrale 012 a Dresda in Germania (2012).

Ha esposto al C.I.A.C di Genazzano, Roma (2008), all’accademia dello Scompiglio, Lucca (2010), alla Venaria di Torino (2013), al Castello di Rivara (2013).
Ha tenuto mostre personali a Roma, Torino, Milano. Lavora a Roma ed insegna Scultura e Disegno alla R.U.F.A. Rome University of Fine Arts.

Dorminio per quest’importante commissione ha avuto bisogno di uno studio che disponesse di numerosi collaboratori, per affrontare un opera di grandi dimensioni.

Per questo lavoro Dorminio è stato affiancato dal laboratorio artistico del romano Fulvio Meroli, e dall’attenta collaborazione del noto scultore Antonio Tropiano.

Per la realizzazione di quest’opera a dimensione naturale, sono infatti stati presi più di 208 misure relative al cavallo e al cavaliere, riprodotti quindi fedelmente. Dorminio ha osservato il monumento equestre al Gattamelata di Donatello a Padova e il monumento equestre a Bartolomeo Colleoni di Andrea del Verrocchio a Venezia.

Un'altra fonte di ispirazione fu la testa dei cavalli ellenistici, alcuni dei quali erano nelle collezioni medicee e che oggi si trovano al Museo archeologico nazionale di Firenze. Mirage (il cavallo) è stato il primo ad essere terminato alla fine del 2019, ma solo nel marzo 2020 l’intera opera è stata terminata con la figura del barone.

Per affrontare il viaggio da Roma a Badolato, la scultura è stata smontata in pezzi numerati, per poi essere rimontata una volta giunta a Badolato.

L’opera è stata infine collocata sul colle più altro della tenuta di famiglia, una zona panoramica che domina la campagna circostante, ma allo stesso tempo semi nascosta da una piccola pineta.

Non si tratta di un monumento eroizzante, dato che infatti la scultura non poggia su un piedistallo marmoreo con bassorilievi, ecc. ecc.

L’opera è invece poggiante direttamente sul terreno, e gli zoccoli del cavallo si confondono con l’erba della collina.

Osservandola distrattamente, la scultura viene perciò scambiata dai dai tanti turisti per un vero cavaliere fermo nell’atto di osservare il paesaggio.

Per quest’opera il Team di artisti hanno riprodotto il cavallo in una posa statica di riposo, che dunque appare saldo sugli arti, mentre il barone col braccio destro sul fianco, appare rilassato come nell’atto di contemplare il panorama circostante.

Lo sguardo del Master, severo e concentrato, è rivolto al medioevale borgo di Badolato (uno dei più belli d’Italia). Quest’opera equestre realizzata da un giovane Team di artisti è in definitiva un bell’esempio di arte moderna, che svettando romanticamente in cima a quel colle, ha valorizzato lo sky -line della zona.

Fin dalla sua collocazione (giugno 2020) la scultura del barone Gallelli di Badolato (denominata il Master), attira sovente la curiosità dei molti stranieri, che fermandosi lungo la strada scattano foto ricordo da portare nei loro paesi lontani.

Quest’opera d’arte è quindi divenuta un ulteriore bellezza del posto, classico esempio del significato più ampio di arte.

L’arte infatti comprende ogni attività umana, svolta singolarmente o collettivamente, che porta a forme di creatività e di espressione estetica, poggiando su accorgimenti tecnici, abilità innate o acquisite e norme comportamentali derivanti dallo studio e dall'esperienza. Pertanto l'arte è un linguaggio, ossia la capacità di trasmettere emozioni e messaggi. Tuttavia non esiste un unico linguaggio artistico e neppure un unico codice inequivocabile di interpretazione. Nel suo significato più sublime l'arte è l'espressione estetica dell'interiorità e dell'animo umano. Rispecchia le opinioni, i sentimenti e i pensieri dell'artista nell'ambito sociale, morale, culturale, etico o religioso del suo periodo storico. Alcuni filosofi e studiosi di semantica, invece, sostengono che esista un linguaggio oggettivo che, a prescindere dalle epoche e dagli stili, dovrebbe essere codificato per poter essere compreso da tutti, tuttavia gli sforzi per dimostrare questa affermazione sono stati finora infruttuosi. L'arte può essere considerata anche una professione diantica tradizione svolta nell'osservanza di alcuni canoni codificati nel tempo. In questo senso le professioni artigianali – quelle cioè che afferiscono all'artigianato – discendono spesso dal Medioevo, quando si svilupparono attività specializzate e gli esercenti arti e mestieri vennero riuniti nelle corporazioni. Ogni arte aveva una propria tradizione, i cui concetti fondamentali venivano racchiusi nella regola dell'arte, cui ogni artiere doveva conformarsi. L’opera è stata donata al Master dai soci del circolo, con una sobria cerimonia avvenuta presso castello Gallelli di Badolato in data 09 giugno 2020.






Anything to Say? è il titolo della più famosa opera itinerante dello scultore di fama internazionale, Davide Dorminio (in foto l’opera esposta a Berlino).



https://www.youtube.com/watch?v=UnbpEzhmbH0




Primo bozzatto della statua equestre del barone Gallelli di Badolato.




Il primo modellino in scala dell’opera




Lo scheletro dell’opera a dimensione naturale



Il primo basamento




Disegni e misurazioni


Lo scultore Davide Dorminio davanti allo scheletro di acciaio





Lo scultore Antonio Tropiano davanti allo scheletro di acciaio




L’arrivo dell’argilla


La realizzazione in argilla



La fase finale in argilla



Le ultime rifiniture


Il calco per la fusione



Imbracatura per il trasporto



L’artista Alessandro di Cola posa a Roma davanti alla scultura smontata




La scultura smontata




Pronti al trasporto da Roma a Badolato


Il posizionamento dell’opera sulla collina della tenuta di Pietranera











Il giorno della collocazione (13 agosto 2019)




Effetto finale della scultura



La scultura equestre denominata “IL MASTER” è stata realizzata dagli artisti DAVIDE DORMINIO, ANTONIO TROPIANO, e ALESSANDRO DI COLA, e FULVIO MEROLLI.

La scultura raffigura il barone Gallelli di Badolato in sella a Mirage, ed è dono dei Soci del Club Calabrese caccia alla volpe a cavallo, in occasione dell’anniversario dei dieci anni dalla fondazione del circolo (2006-2016).












Particolare




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